Wake up! Svegliarsi all'interdipendenza

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Wake up! Svegliamoci! Così qualcuno ha scritto su un muro. E svegliarsi a cosa? Prima di tutto alla consapevolezza dell’interdipendenza

e alla possibilità di utilizzarla come leva per un reale cambiamento delle persone, delle organizzazioni, delle società, del mondo.

Cosa intendiamo con il termine ‘interdipendenza’

L’interdipendenza è uno dei concetti centrali della teoria dei sistemi: la maggior parte delle definizioni di un sistema implicano l'idea di interdipendenza tra un insieme di elementi che è spesso il concetto centrale che viene usato per definire un sistema. Senza interdipendenza tra le parti non esiste un sistema, ma solo un insieme di elementi indipendenti.

Che il mondo naturale, la nostra vita, il nostro lavoro e il nostro benessere collettivo siano interdipendenti risulta evidente, se solo ci fermiamo un momento a pensarci. Tutto è, o sarà, collegato. L’indipendenza quindi, in un certo senso, è un’illusione ma, per prendere consapevolezza della nostra interdipendenza, dobbiamo essere capaci di pensare liberamente di guardarci come da fuori al sistema sapendo che questo è impossibile.

L'interdipendenza, allora, appare intrinsecamente complessa in quanto comporta una dinamica di dipendenza e di autonomia a diversi livelli. Come ha scritto Stephen Covey, uno dei più noti studiosi della leadership, «L'interdipendenza [l’agire a partire dalla consapevolezza di essere interdipendenti, ndr] è una scelta che solo le persone indipendenti possono fare».

L'interdipendenza è connaturata alla vita - delle persone come delle organizzazioni - e i grandi cambiamenti macro e micro che scuotono il nostro mondo, nell’ambiente sia naturale che sociale e nella tecnologia, impattano in maniera enorme sul modo di intendere e di vivere la cultura, le relazioni, l'istruzione, l’economia, le regole, la politica, tutto.

Come valorizzare l’interdipendenza nella società

Nel mondo globale, la nostra interdipendenza è globale e risulta sempre più stretta. Oggi siamo in uno stato molto diverso da quello di qualche anno fa. Non possiamo sopravvivere secondo il paradigma dell'individualismo competitivo nel passato, oggi la situazione è molto diversa.
Problemi come depressione, stress, abuso di droga, crimine, terrore, guerra, povertà, ansia sociale, insicurezza alimentare, disoccupazione, disuguaglianza economica, inquinamento, rifiuti, disastri naturali, cambiamenti climatici necessitano di una lettura sistemica , vanno guardati attraverso la lente dell’interdipendenza e possono essere risolti solo da gruppi che lavorano insieme co-operando.
Se non riusciamo a imparare a lavorare insieme, con l'interesse reciproco a raggiungere un'interdipendenza positiva e armoniosa allora sperimenteremo dolori e difficoltà crescenti in futuro.

Se invece impareremo a lavorare insieme, con l'interesse reciproco a raggiungere un rapporto positivo e armonioso, saremo in grado di creare un posto migliore e più felice per tutti noi.
Questo può accadere solo se cambiamo il nostro atteggiamento nei confronti della crescente interdipendenza cominciando a considerare tutte le nostre decisioni alla luce del beneficio per tutti che queste sono in grado di portare oltre il nostro individuale vantaggio.
Fare questo cambiamento, sarà la chiave per la felicità di tutti.

Cosa succederebbe se usassimo la condizione di interdipendenza come una leva di miglioramento invece che, velleitariamente, combatterla?
Se, riconoscendola, agissimo il più possibile in modo cooperativo, prendendoci cura l'uno dell'altro come persone e come imprese?
Cosa succederebbe se lavorassimo per guardare oltre i nostri interessi cercando di trovare interessi comuni a tutti?
Cosa succederebbe se imparassimo a riconoscere il fatto che nessuno di noi ha scelto in quale città e in quale Paese nascere, in quale famiglia, classe sociale, cultura, religione e cercassimo, reciprocamente, quel punto in comune che ci rende tutti ugualmente umani qui su questo pianeta?

Come sarebbe se, adottando una prospettiva eco-logica invece che ego-logica o etno-logica, cercassimo, in ogni interazione, di vedere le persone come tutte appartenenti alla stessa famiglia umana?
Un artigiano farebbe pagare al proprio figlio il suo servizio tanto quanto un perfetto sconosciuto?
Un produttore di latticini cercherebbe di fare i formaggi per i suoi bambini con le sostanze chimiche più economiche e trascurando le condizioni dell'allevamento, sapendo che dando da mangiare quel latte a suo figlio, lo mette a rischio di ereditare malattie gravi?
Possiamo immaginare facilmente quanto sarebbero più bassi i costi per tutti i tipi di prodotti e servizi se tutti i calcoli fossero effettuati in questo modo in tutto il mondo, se organizzassimo la nostra catena del valore non sulla domanda "Come posso trarre il massimo beneficio da questa transazione" ma su una diversa "Come posso dare alla mia ‘famiglia globale’ il miglior prodotto o servizio possibile di cui hanno bisogno al meglio prezzo possibile?"

Questo massimizzerebbe i benefici per tutti.
Molti progressi compiuti negli ultimi 20-30 anni nel campo della scienza, dell'economia e dell'istruzione hanno evidenziato l'idea che maggiori e migliori sono i collegamenti sociali consapevoli, maggiori sono la felicità delle persone, il successo nel business e l'apprendimento delle persone.
Davanti alla tentazione di risolvere i problemi dell’umanità odierna incrementando ciò che li ha prodotti - il dominio della tecnica, il consumismo, l’individualismo - la via, quindi, è ritrovare i fondamentali della vita, le relazioni tra umani, con gli altri esseri viventi e con la Natura.

Come valorizzare l’interdipendenza per migliorare le organizzazioni

Anche nelle imprese sta crescendo la comprensione dell’importanza del gruppo rispetto all’individuo, delle relazioni rispetto tra i soggetti piuttosto che i singoli attori.
Molte aziende stanno mettendo in pratica il pensiero e l’approccio sistemico, consapevoli che i team risolvono i problemi con risultati di maggiore successo rispetto a quelli che può conseguire un solo individuo, anche molto intelligente o preparato, o un manager di talento in solitudine.

Inoltre, nelle culture collaborative e interdipendenti, le persone lavorano efficacemente oltre i confini organizzativi, con apertura e franchezza e riescono ad adattarsi ai cambiamenti rapidi, attingendo sia alle competenze e agli insights interni sia a quelle dei partner e degli stakeholder esterni.

Si sta facendo largo, quindi, anche una nuova concezione della leadership - la leadership interdipendente - guidata dalla convinzione che la leadership sia un'attività collettiva che richiede un’ approfondimento e un apprendimento reciproci.
Quindi, come si fa a creare individui, gruppi, organizzazioni capaci di essere efficacemente interdipendenti all'interno di società ancora più ampie?

Tra gli altri, Charles J. Palus, John B. McGuire, Christ Ernst del Center for Creative Leadership hanno lavorato per rispondere a questa domanda. In un capitolo del loro libro “The Handbook for Teaching Leadership” della Harvard Business School, descrivono quattro ‘arti pratiche’ che sono elementi essenziali per una cultura della leadership collaborativa e interdipendente.

La prima è il dialogo, ovvero l'uso dell’ inquiry (esplorare una questione attraverso le domande) e delle conversazioni creative per comprendere e affrontare le sfide più importanti. Il dialogo ci permette di riflettere su presupposti che, dandoli per scontati, normalmente non mettiamo in discussione e su argomenti difficili, trovando un terreno comune e più di una soluzione possibile. Attraverso il processo di ricerca, le persone imparano a fare più domande e a porne di migliori, a prestare più attenzione e a esplorare anche i punti di vista degli altri.

La seconda è quella che gli autori chiamano la creazione di una ‘headroom, ovvero il disegno di un processo attraverso il quale i capi senior mettono in pratica intenzionalmente comportamenti sul lavoro che guideranno l’organizzazione alla collaborazione e all'interdipendenza. Essi mettono a disposizione, quindi, il tempo e lo spazio per pensare e agire diversamente in modi che ‘innalzano’ il livello culturale complessivo in tema di leadership.
Poiché i comportamenti di leadership, come la maggior parte delle altre abitudini, tendono ad essere auto-rinforzanti e difficili da cambiare, questo aiuta a creare occasioni per permettere alle persone di uscire dai vecchi schemi e metterne in pratica di nuovi. Una pratica chiave per creare headroom è l'apprendimento collettivo. I dirigenti e gli altri attori chiave vanno espressamente oltre le regole della cultura e della pratica attuale, assumendosi dei rischi in gruppi e forum pubblici. Discutono di errori, aspirazioni, difetti e barriere. Pongono domande difficili, spingono su nuove ipotesi, perseguono più di una opzione invece scegliere l'una o l'altra, investendo nella creazione di una cultura della leadership che sostenga la strategia e orienti l'organizzazione in chiave sistemica valorizzando il senso di interdipendenza.

La terza pratica è quella dell’ampliare i confini. Si tratta dell’arte di vedere, superare e sfruttare cinque tipi di confini del gruppo: orizzontale, verticale, demografico, geografico e degli stakeholder. Il primo passo per attraversare i confini, ironia della sorte, è crearli o rafforzarli. Sfruttando il potere della differenziazione (ad esempio, chiarendo i ruoli, lo scopo, le aree di specializzazione), si costruiscono sicurezza e rispetto sia all'interno del gruppo che oltre i suoi confini. Poi, gruppi diversi possono riunirsi, costruire fiducia e raggiungere uno scopo più ampio. Infine, l'estensione dei confini combina differenziazione e integrazione - creando una sorta di ‘team di team’ diversi con competenze, esperienze e risorse differenziate, ma guidate da una visione e una strategia integrate - al fine di sostenere l'interdipendenza, la trasformazione e la reinvenzione.

Infine, la quarta pratica è quella dello sviluppo ‘inside out – che noi di Bottega filosofica abbiamo sempre alla base delle nostre proposte – ovvero concentrarsi soprattutto sui valori, le convinzioni, l'identità, le emozioni, l'intuizione, l'immaginazione e la mentalità di leadership di ogni individuo per favorirne lo sviluppo. Questo è possibile quando le persone ‘imparano a imparare’ le lezioni offerte dalle proprie esperienze e cominciano a interiorizzarle.
Un modo potente per svilupparsi inside-out è attraverso programmi e processi ad alta intensità di feedback, in cui si acquisisce una nuova consapevolezza delle proprie convinzioni e dei propri comportamenti. Un altro modo è la narrazione. Lo storytelling è un metodo semplice, risonante e straordinariamente efficiente,nonché rapidamente adattabile a quasi tutti i contesti. Le storie costruiscono connessioni umane e personalizzano il lavoro interiore. Lo sviluppo inside-out si estende e si approfondisce man mano che le persone condividono esperienze, credenze e valori.

 

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